“Fai come Isa”: Il comfort veg a misura di punk

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Coloratissimo, accattivante, ogni pagina fa venire l’acquolina in bocca. E non è scontato per i libri di cucina. Ancor meno (o così vuole il pregiudizio) per quelli di ricette vegan. E invece Fai come Isa (edizioni Sonda, 2015) trasuda gioia ed entusiasmo a ogni pagina e, che lo si sfogli a mezzogiorno o a mezzanotte, fa venire la voglia incontenibile di correre ai fornelli e tuffarsi a provare una delle sue preparazioni. Non è solo merito delle foto vivaci e della grafica in stile scrapbook, oltretutto non una novità nel campo dei cookery books. Molto deriva dalla vivace narrazione di Isa, al secolo Isa Chandra Moskowitz, star della cucina multimediatica americana grazie al suo vegan blog Post Punk Kitchen, ella stessa un’incarnazione di uno stereotipo mancato, un invito a fidarsi un po’ meno delle prime impressioni e buttare via i pregiudizi.

La vediamo in copertina con il caschetto nero, gli occhiali da hipster e un abitino vintage, tonda e sorridente come la casalinga della porta accanto. Scopriamo invece che è una punk, o post punk, che sotto l’abito a quadretti è piena di tatuaggi, che ha pubblicato diversi best seller di cucina vegetale, che parla senza peli sulla lingua e che racconta fin dall’introduzione di come no, lei non è una delle solite cuoche-da-libro che sono cresciute respirando il profumo della perfetta torta di mele di mamma o ritrovando le proprie esotiche radici nei manicaretti di nonna. Isa è nata e cresciuta a New York e viene da una famiglia in cui si consumava soprattutto cibo in scatola. Ma ci ha pensato lei a invertire la tendenza, prima diventando vegetariana, poi vegana, poi trascinando madre e sorella non solo nella sua scelta alimentare ma nell’entusiasmo di diventare la migliore amica di fornelli e dispense. Ed ecco che, racconta, la sua casa di Brooklyn diventa finalmente un cuore caldo di profumi speziati ed esperimenti culinari, dove basta entrare per lasciarsi alle spalle lo stress della città e immergersi in un sapore avvolgente.

L’autrice insiste molto sul concetto di comfort food, il cibo che coccola, non solo nella sezione così chiamata ma anche nella predilezione per zuppe, ciotole fumanti e tutto quello che può essere consumato con l’ausilio di un cucchiaio mentre un vapore speziato riempie le narici. E a proposito di spezie, ovviamente abbondano le ricette dal mondo, alternando pad thai thailandese, burritos messicani e soba giapponesi con la stessa disinvoltura con cui il newyorkese medio decide quale sfumatura etnica farsi portare a casa la sera dopo il lavoro. Poi, sì, ci sono scivoloni imperdonabili per l’italiano medio come la rilettura veg della “Pasta Alfredo” (non certo per il veg ma per l’inesistenza della pasta Alfredo, invenzione puramente americana) o il risotto al pesto. Ma tutto è fotografato con tanto amore, spiegato con tale precisione e narrato con un così sincero entusiasmo che viene voglia di concedere una chance addirittura ad Alfredo.

Non troverete, invece, finger food o amuse bouche: per scelta precisa della cuoca solo cibo allegro, nutriente, ma soprattutto facile da realizzare e con ingredienti rapidi da reperire. E ovviamente nemmeno un alimento di derivazione animale. Ma come è nel trend (intelligente) degli ultimi tempi, la scelta cruelty free non è mai sbandierata, mai rimarcata, mai rivendicata. Semplicemente è il solo ingrediente del libro che non ha bisogno di essere citato. E, per chi ancora ha pregiudizi, sfogliare questo ricchissimo ricettario potrebbe essere una piacevole sorpresa.

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